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Claudio Zanini

Carrozza nº7:
Un romanzo politico in una dimensione fantastica

La Storia

La città di Quorum è sotto assedio. L’Armata Bianca a Cavallo è pronta all’attacco decisivo, ma il generale in capo Maslo è indeciso, temporeggia. Un treno corre alla volta di Quorum. Un viaggio interminabile, fitto d’ostacoli e imprevisti. Sul treno è ospite il protagonista, Bruno Zeit, studioso di Machiavelli, appena liberato dal carcere dove scontava una pena per le sue idee sovversive. Zeit ha il segreto compito di prendere contatto con il generale Maslo, comandante dell’armata assediante, per convincerlo a lasciare l’assedio. 

Sul convoglio s’incrociano diversi personaggi. Ci sono, Salomon Freibund responsabile della Hollywork, una multinazionale dalle molteplici e ambigue attività, e Kurt, suo integerrimo braccio destro; l’altezzoso colonnello barone Interlandis comandante l’Armata Bianca a Cavallo, il livido Commissario Politico Murgo e il Capo della Sicurezza Ovra; l’equivoco Edmund Freus, amico di Zeit e pittore di successo; lo sfortunato giocatore di poker e rappresentante di bambole Settembrini, una coppia di funzionari della Sicurezza che scambiano agghiaccianti discorsi da teatrino dell’assurdo. Personaggio cardine è, tuttavia, l’affascinante Olga Raum, la cui presenza fatale si riflette sull’intero viaggio. 

Questi e altri personaggi tramano, lottano, amano all’interno di un universo chiuso e soffocante, dove anche il tempo assume dimensioni anomale. Il treno viaggia entro lo scenario d’una sanguinosa guerra civile e sullo sfondo mutevole d’una natura libera e lussureggiante ma, nello stesso tempo, depredata e degradata. Zeit, infine, riuscirà a convincere il generale Maslo ad abbandonare l’assedio della città di Quorum. Tuttavia il finale ha esiti imprevisti, dove tutto è rimesso in gioco.

Claudio Zanini è nato a Trieste. Si è diplomato in Pittura all’Accademia di Belle Arti di Brera e laureato in filosofia all’Università Statale di Milano. Ha insegnato Storia dell’Arte e Discipline Pittoriche in vari licei milanesi. Ha partecipato a diverse mostre di pittura, personali e collettive, in Italia e all’estero. È stato finalista al Premio Guido Morselli di Varese per il romanzo, evincitore dell’edizione 2012 con Il polittico della città di T. Ha pubblicato vari racconti, tra cui, per bambini, Il talento di Uk. Con la casa editrice Bietti di Milano, Il posto cieco, Nero di seppia, La scimmia matematica e nel 2018, Carrozza n°7. Ha vinto il Premio Fogazzaro 2013 con tre brevi racconti. Selezionato al Premio Letterario Città di Como 2014 e 2018. Si è classificato terzo al Premio Morselli 2018 con il romanzo Il servizio Mason’s. Vincitore del Premio Opera Prima 2018, Anteremedizioni, con la raccolta di poesie inedite Ansiose geometrie. Segnalato al Premio Lorenzo Montano 2018. Sue poesie appaiono, tradotte in inglese da Claudia Azzola, su Tradizione/traduzione, e in altre riviste. Collabora con le riviste culturali on-line ODISSEA, La Tigre di Carta e MARGUTTE. 

Abbiamo rivolto alcune domande all’Autore

Come ti è nato questo romanzo?

Il romanzo Carrozza n°7 nasce dall’immaginario – che mi girava da un po’ per la testa – di un treno (il mitico Orient Express, innanzitutto, e il film L’anno scorso a Marienbad di Alain Resnais, film che non c’entra con il treno, però dà l’idea di un continuo movimento sempre nello stesso posto (falso movimento); poi l’apparizione della donna in un bianco sfolgorio di luce, eguale all’apparizione di Olga nel treno per Quorum). Il treno, dunque come scenario d’un intreccio di varie vicende. L’azione, dunque, si svolge in un ambiente unico che ha scarsi rapporti con l’esterno, entro un’atmosfera claustrofobica.Il tema principale è politico: la guerra civile e l’assedio della città di Quorum. Ho tracciato una mappa precisa dell’inesistente città di Quorum e del fantomatico percorso del treno. Entro tale situazione agiscono diversi personaggi. In particolare, il protagonista che racconta in prima persona: Bruno Zeit, ex militare studioso di Machiavelli, incaricato di una missione segreta. 

Mappa di Quorum

Il tuo romanzo intende chiaramente parlare della situazione attuale a livello mondiale, tuttavia hai scelto di ambientarlo in un passato che, seppure indefinito e surreale, sembra riferirsi ai primi anni del secolo scorso, ai tempi cioè della Grande Guerra e della Rivoluzione russa ma  anche della Belle Epoque, poiché si svolge su un treno che pare ispirarsi al famoso Orient Express e l’atmosfera richiama  spesso quella della Mitteleuropa. Come mai hai scelto questo “mascheramento” per parlare dell’oggi?

Ho scelto questo scenario, questo “mascheramento” come tu dici, per distanziare l’oggetto della narrazione in un tempo indefinito dove accadono delle vicende paradigmatiche che valgono sempre. L’Orient Express è un topos dell’immaginario collettivo, qui assunto per il suo fascino (ambientare la vicenda sulla Freccia Rossa non sarebbe stato lo stesso); come lo sono “la carica dell’Armata a Cavallo” (idea presa da Isaac Babel), la figura di Enrico von Truda, personaggio che evoca l’uomo in crisi e disilluso dei romanzi di Joseph Roth) e quella di Kurt, somigliante a L’americano tranquillo (di Graham Greene), nella guerra del Viet Nam. Il pittore Freus dipinge come Lucien Freud, nipote di Sigmund Freud.

Carrozza n°7 è quindi in tutto e per tutto un romanzo politico che configura un mondo fantastico ricorrendo un procedimento diciamo un po’ alla Orwell de La fattoria degli animali: usare cioè una metafora surreale per aprire gli occhi al lettore sulla realtà cruda dell’oggi e di un probabile futuro, che viene invece correntemente mascherato da illusorie manipolazioni. Mi sembra quindi il tuo anche un romanzo coraggioso, che prende posizione contro un pensiero unico sempre più invasivo. Il che non piace a tutti.

Come ho scritto da qualche parte, la guerra sarebbe una situazione innaturale e folle se, purtroppo, non fosse una costante nefasta nella storia dell’umanità. Questo è senz’altro un romanzo politico in cui traspare la drammatica realtà del mondo presente. Inoltre, mi auguro d’esser riuscito a rendere una visione del mondo problematica, non manichea (buoni vs cattivi), dove si smonta sia la pretesa fine delle ideologie; sia quella di un mondo solo fattuale dove sarebbero in vigore leggi economiche oggettive cui non si sfugge. Ribadisco che, invece, esistono visioni del mondo – Weltanschaung, d’accordo, non chiamiamole più ideologie – irrimediabilmente incompatibili. Libertà, rispetto dell’altro, quindi eguaglianza, liberazione dallo sfruttamento e dalla logica del profitto, da un lato; dall’altro: ogni dittatura, dominio sull’altro, razzismo e intolleranza, e un sistema economico fondato su un liberismo disumano e predatore.  

Stilisticamente il romanzo richiama, per il suo senso di sospensione e di attesa indefinita di un evento misterioso che non si produce, l’atmosfera de Il deserto dei Tartari di Buzzati. Ne eri consapevole scrivendo?

In questo romanzo, come nei precedenti, ho cercato di evocare dei luoghi totalizzanti (che coinvolgono l’intera persona) (il treno dell’Orient Express, il teatro di Il posto cieco, la trattoria in Nero di seppia, l’ospedale e i sotterranei del Progetto giovinezza di I gemelli Kleist.Sono ambiti dove si attende in un’atmosfera sospesa. Come nel Limbo delle mie poesie, non-luogo popolato da surreali personaggi beckettiani. Il treno, che sembra non dover arrivare mai, in un tempo che pare rappreso; e altri luoghi ancora che, dominati da un potere oscuro, avvolgono e irretiscono senza apparente ragione. Un luogo come Il deserto dei Tartari, della cui somiglianza col mio romanzo ho preso coscienza quando mi è stato fatto notare.

In questo tuo romanzo come anche nei precedenti si sente fortemente, essendo tu nato a Trieste,  la tua appartenenza a una letteratura del Nord Est, apparentata alla letteratura mitteleuropea, che è rimasta sempre un po’ estranea ed è stata  tenuta un po’ ai margini dalla nostra letteratura “ufficiale”. Basti pensare a Svevo, penalizzato dalle “accademie” e per questo ridottosi al silenzio per vent’anni. Anche tu sembri subire in qualche modo questo destino perché i tuoi romanzi, a mio parere molto belli, fantasiosi e intriganti, non hanno mai avuto un successo pieno e l’eco critica che meriterebbero nonostante siano stati anche premiati.

Certo, la mia patria letteraria è la Mitteleuropa che ha gravitato intorno a Trieste, mio luogo d’origine. Poiché svolgo anche un’attività di pittore, mi sembra opportuno rilevare che uno dei miei autori di riferimento è stato Paul Klee, pittore “quasi” astratto, che aveva operato nel Blaue Reiter e poi nel Bauhaus. Nel pieno della Stimmung mitteleuropea. Anche il mio linguaggio figurativo è astratto e questa modalità di pensiero penso riecheggi anche nei miei scritti (romanzi e poesie). Non rappresento il reale. Vorrei riuscire a metterlo in scena (finzione teatrale) con dei segni (lingua) che ne svelino (smascherino) le contraddizioni, le falsità e gli inganni con cui si presenta. Amo la parola. Essa supera sempre il mero significato. È una soglia verso un altrove inatteso. Può essere un grimaldello per mettere a nudo il reale. Qui impiego una lingua diversa secondo i capitoli e i personaggi. Da quella informale e disinvolta (gli americani), a quella che mima una narrazione ottocentesca (l’Armata a Cavallo); da quella ricercata e incalzante (Machiavelli) a quella quasi espressionista degli scenari bellici; da quella da teatro dell’assurdo (Otto e Kranz) a quella calda e immaginifica di Olga Raum.  

Paul Klee

Senti una parentela effettiva, e quale, con altri scrittori di questa parte d’Italia o mitteleuropei, come Thomas Mann e Kafka da una parte e, oltre a Buzzati e a Svevo, un Tomizza e un Mario Rigoni Stern dall’altra?

I miei genitori mi regalarono, in occasione dei miei 17, anni i diari di Kafka (la scoperta di un mondo, crudele ma irresistibilmente ironico, che mi affascinò subito). E gli altri suoi scritti: testi fondamentali. Quindi ho letto Musil, Proust, Thomas Mann, Joyce, ecc.. poi, ancora, Svevo e Buzzati. Negli anni più recenti mi sono piaciuti Thomas Bernhard e Robert Walser. Anche Simenon, non quello di Maigret. Non voglio dimenticare gli autori in cui sento una singolare affinità per quanto riguarda la mia vena surreale, predominante in Il posto cieco e La scimmia matematica. Parlo di Giorgio Manganelli, Rodolfo Wilcock, Tommaso Landolfi, Flann O’Brien. E, naturalmente, di Samuel Beckett, il teatro dell’assurdo. Nella Carrozza n°7, i dialoghi tra i due agenti della Sicurezza, del tutto surreali e assurdi.   

Ci sono degli avvenimenti politici precisi, o figure politiche cui il romanzo vuole velatamente alludere e quali?

Nel romanzo si allude alle ultime guerre, da quella dell’ex Yugoslavia, alle guerre per il petrolio nel Medioriente, fino alle recenti vicende dell’Ucraina.

Come ti sei documentato? Hai letto per esempio trattati di arte militare o manuali sulle armi e sugli esplosivi? Hai visitato dei luoghi per descrivere i paesaggi attraversati dal treno? E come sono nati i tuoi personaggi?

Per quanto riguarda i paesaggi, questi spesso scaturiscono dal mio serbatoio di immagini. Nella Carrozza n°7, per la battaglia di Gorovina ho preso spunto dal film Apocalypse Now. L’ambiente naturale della Scimmia matematica, per esempio, è ispirato ai paesaggi dipinti da Henry Rousseau. Una natura un po’ naif, smagliante, quasi artificiale. Tuttavia al fondo c’è la realtà, il mondo con i suoi conflitti. Quello fondamentale tra razionalità del dominio, e della geometria, ambigua e fallace le cui regole non sono sempre vere (vedi Ansiose geometrie); contrapposte alla fantasia, alla creatività, all’amore. 

Machiavelli, che solitamente viene inteso come un cinico sostenitore del potere raggiunto con ogni mezzo, qui figura invece come un alfiere di  ordine sociale e di libertà e quasi come un utopista. E’ piuttosto il Machiavelli che nella Mandragola dice: ”quando viene meno la dialettica tra virtù e fortuna, il mondo è soltanto una lega di briganti in lotta tra di loro”.

Per quanto riguarda Machiavelli, la cui figura mi ha sempre interessato dai tempi dell’Università, ho inteso inserire la sua figura come coscienza critica. In primo luogo per la sua convinzione che politica e morale debbano essere autonome e separate, questo tenendo conto che nel 1500, la morale vigente era quella della Chiesa. In secondo luogo per l’insistenza del segretario fiorentino sulla necessità di risolvere gli inevitabili conflitti all’interno della città mediante una costante dialettica, attraverso cui si deve raggiungere un ordine etico superiore. Machiavelli esprime la convinzione che la cupiditas, intesa come inarginabile energia istintiva, non deve disperdersi in imprese distruttive, bensì nel conseguimento di progetti finalizzati al bene comune dello Stato. Nella Mandragola, un’interpretazione (che mi trova d’accordo) vuole che Lucrezia utilizzi gli strumenti “politici” impiegati nell’ordire il raggiro a danno del marito messer Nicia, per conseguire i propri riscatto e autonomia.

Olga Raum, la donna luminosa che si potrebbe anche considerare la vera protagonista del romanzo, si ispira a un  personaggio reale? E’ un’immagine simbolica e in questo caso che cosa rappresenta?

Olga Raum, donna cardine del racconto (attenzione, Raum in tedesco significa spazio; Zeit, tempo. È ovvio che si integrino vicendevolmente).E’ un personaggio molto complesso che introduce una dimensione più ampia e profonda, i sentimenti e l’amore nella vicenda. È paragonata da Freus alla Giuditta di Gustav Klimt. Lei è una musicista – in uno degli ultimi capitoli interpreta il Concerto per violoncello n°2 di Dmitri Shostakovich – e porta nella narrazione una libertà inattesa nella trama “razionale” del maschile (qui, bellico). Introduce una razionalità più raffinata, più compiutamente umana, in cui passione e sentimento rivestono un ruolo importante. Una razionalità, dove le istanze di Antigone possano (debbano) rivendicare la loro legittimità.

Tu sei un narratore molto prolifico. Scommetto che stai già pensando a un altro romanzo?

Certo, ho tre romanzi inediti (L’uomo che sognava, Il servizio Mason’s, mentre il terzo, I gemelli Kleist, in mano al mio editore, spero uscirà entro l’anno). Inoltre, sto ultimando un quarto romanzo, Involtini primavera, che narra le alterne vicende d’un super capitalista alla conquista dell’Asia.

Come scrivi? Hai bisogno di un particolare stato di ispirazione? hai dei “riti” di scrittura?

Non ho alcun rito di scrittura e scrivo quando ho tempo libero.
Questo mio bisogno di narrare è iniziato presto. Ho scritto racconti per delle riviste studentesche e poesie (piuttosto inconsuete); delle sceneggiature cinematografiche. Ho realizzato brevi film sperimentali lavorando direttamente sulla pellicola, e del teatro d’”avanguardia” (povero e surreale) con un gruppo di amici, tutti magnifici dilettanti. 

Da che cosa nasce questo tuo bisogno di narrare? Quando è cominciato? E’ un modo anche per liberarti da fantasmi e angosce? Scriveresti anche se tu sapessi di non poter pubblicare?

Probabilmente mi accade di sublimare foschi fantasmi dell’immaginario nella scrittura, ma questo avviene inconsapevolmente. E, spesso, resto piacevolmente stupito dell’interpretazioni dei lettori. Ho sempre scritto non pensando alla pubblicazione.  In effetti, ho pubblicato il mio primo romanzo poco più d’un decennio fa. Prima, scarse cose, qualche racconto.

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2 Comments

2 thoughts on “Claudio Zanini
  1. Bellissima pagina , interessante ed esaustiva con tante immagini appropriate!

  2. bellissimo lavoro su Claudio,apprezzo molto quello che scrive e sono contenta che se ne parli Elena

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