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Un libro sulla vecchiaia:

I Rott’amati di Giuseppe Landonio

dall’Introduzione dell’Autore

Rott’amati. È un modo, spero simpatico, di prendere in giro una asserzione che è divenuta di gran moda qualche anno fa, e che non ha portato molta fortuna (almeno sul lungo periodo) al suo autore. Perché “rottamare” aveva in sé un carattere manicheo e di scarsa generosità nei confronti dei “vecchi” che avevano fatto comunque la storia di un certo partito. E poi sembrava disconoscere il valore stesso della vecchiaia come età nobile della vita, densa di esperienze e ricca di buoni consigli. Rott’amati vuole invece dare più peso alla componente affettiva verso questa età: riconoscendone i limiti, ma anche le virtù e le potenzialità, che rimangono straordinarie.

Invecchio sempre più cose imparando: il celebre aforisma di Solone ci racconta infatti, più d’ogni altra affermazione, di una vecchiaia all’insegna della crescita intellettiva e culturale, e come tale ricca di sorprese. Ma c’è l’altro verso della medaglia: la vecchiaia è anche la perdita progressiva di una serie di facoltà, soprattutto fisiche, che la rendono molto meno stimolante. Lascio a un altro grande saggio dell’antichità, il Qohèlet, la descrizione poetica del decadimento:

In quei giorni atterriti / I guardiani della casa / si agiteranno / E gli uomini forti / si storceranno/ E le macinatrici / ormai poche / si fermeranno / E nei colombari / le veditrici / si abbuieranno / E i due battenti sulla via / Al cadere del suono della macina / si chiuderanno / E il grido dell’uccello / si farà muto / E le figlie del canto / tutte si affiochiranno / E l’altezza farà paura / E verranno i deliquii camminando / E il mandorlo sarà in fiore / E la locusta sarà sfinita / E il cappero superfluo / E l’uomo se ne va / Alla sua casa senza tempo / Con le prefiche assiepate sulla via / Prima che il cavo d’argento sia rotto / E l’aureo globo si spezzi / E la brocca si infranga sulla fonte / E la ruota precipiti nel pozzo / E ritorni la polvere alla terra / che è stata / E ritorni il respiro a Dio / che lo ha dato / Un infinito vuoto / dice il Qohèlet / Un infinito niente / Tutto è vuoto niente

In un recente saggio di Enzo Bianchi La vita e i giorni si citano alcuni versi di John Donne: “Nessuna bellezza di primavera / nessuna bellezza estiva / ha la grazia / che ho visto in un volto autunnale”. Tra questi punti di vista, tra loro molto discordanti, che pure sono l’esperienza che tutti possiamo fare, se non in noi stessi almeno nei nostri cari, esiste un punto d’incontro e di equilibrio? Cosa è e come è in realtà la vecchiaia? Come possiamo viverla senza sentirla solo come una età fastidiosa e da rifuggire? Come sgombrare le nostre paure e repulsioni? È un cammino difficile da ricomporre.

Intervista a me stesso

Ti piace vivere di ricordi?

Mi piacciono i ricordi. Ma non mi piace crogiolarmi nei ricordi. Mi affido per lo più alla memoria involontaria: ci sono episodi della vita, o persone che ho conosciuto, che a volte riaffiorano per un profumo, o una canzone, o un sapore particolare. È l’effetto madeleine che si ripete, e che mi piace allora riportare alla memoria.

Rimpianti per il passato?

E chi può dire di non avere rimpianti? Al tempo stesso non mi piace piangere sul latte versato. Quel che stato è stato e, probabilmente, non poteva che andare così, date le circostanze in cui quel fatto si è prodotto. Preferisco guardare all’oggi e al domani. E poi, nel complesso, non posso certo lamentarmi della mia vita.

E qual è la tua percezione del tempo?

Il tempo ha sia una dimensione reale, incontrovertibile, dettata dal movimento delle lancette dell’orologio, che una dimensione psicologica, che lo può dilatare o restringere a dismisura. Se guardo al passato, vedo lentissimo il tempo della mia infanzia, veloce e quasi vorticoso il tempo nella età adulta e in quello della piena maturità, poi di nuovo più lento il tempo della pensione, anche se non con le cadenze estreme dell’infanzia. Ma anche in base al luogo dove stai cambia la percezione del tempo: mentre qui, dove abito, il tempo è nettamente scandito, quando mi capita di andare in vacanza in Sardegna, il tempo si dilata, le giornate si allungano, mi sembra di poter fare molte più cose e con molto più agio.

Dicevi di fare ancora progetti…

I progetti sono vitali. Sia quelli a breve (cosa farò domani?) sia quelli a lunga portata (come sarò tra un anno, o più in là). Progetto di scrivere (è la cosa che amo di più), o di fare un viaggio. Oppure penso (più che progettare) al futuro dei miei figli e soprattutto dei nipoti. Quello, soprattutto, mi provoca qualche ansia, o qualche sottile incertezza.

Perché?

Perché ho una convinzione netta: che mentre noi (alludo alla mia generazione) abbiamo ricevuto tanto dai nostri genitori (una casa, la sicurezza dello studio e del lavoro, un lungo periodo di pace…) quali certezze lasciamo oggi ai nostri nipoti (più che ai nostri figli)? Abbiamo preso per noi più di quello che oggi lasciamo a loro. Un mondo più confuso, un clima meno vivibile, meno possibilità di lavoro, minori certezze e potrei continuare nell’elenco. Quello è il vero cruccio che mi porto in questa età della vita.

E che ruolo ha per te la morte?

Penso spesso alla morte. E non da ora. Ho conosciuto molte morti nel corso della mia vita lavorativa. E poi ho continuato a occuparmi di cure palliative e assistenza ai malati terminali. Con la morte mi sono trovato a fare i conti, quasi sempre. Posso dire di non temere la morte: la tratto con grande rispetto, ma penso di non temerla. È una eventualità…certa (passami l’ossimoro). La mia vita è stata già piuttosto piena, ricca di incontri e di cose fatte. Prima o poi tutto questo si interromperà. E allora spero di affrontarla con serenità. Spero non di botto, non all’improvviso, per avere il tempo di congedarmi dai miei cari, e magari di finire qualcosa che ho ancora in testa (sempre che mi rimanga l’uso della testa). Di più non posso chiedere.

E pensi all’aldilà?

Ci penso, ma non trovo risposta. La ragione mi dice che ben difficilmente c’è qualcosa oltre la vita. Sarebbe un aldilà troppo affollato, come amava dire Margherita Hack. Credo alla restituzione di una energia vitale, che ho avuto in dono nell’atto di nascere. Ma come non esistevo prima della nascita, così continuerò a non esistere dopo la morte. Di me resterà un ricordo, per qualche generazione, nel cuore dei miei cari e di chi mi ha conosciuto. Poi anche quello finirà per spegnersi. Non ho fatto d’altronde cose così egregie da essere ricordato a lungo.

Ma allora, ti sei mai chiesto che senso può avere avuto venire al mondo?

Non mi sono dato una risposta. Ma posso dire che è stato bello vivere e che, potendo scegliere, non ci rinuncerei. In questo non la penso né come dice il Qohèlet né come scrive Leopardi. La vita non è una sciagura: è una opportunità. Sta a noi renderla il più possibile ricca e produttiva.

Giuseppe Landonio

Pino Landonio (Busto Arsizio, 1949) vive a Canegrate (Mi). Medico oncologo all’Ospedale di Niguarda dal 1975 al 2006, è stato Consigliere Comunale a Milano dal 2005 al 2011. Ha svolto successivamente il ruolo di collaboratore dell’amministrazione comunale sulle tematiche della salute. Inoltre a partire dal 2011 coordina “Area P”, ossia incontri mensili a Palazzo Marino dedicati alla poesia. Presiede l’Associazione “Cultura dei sogni” e insegna alla UALZ. Ha pubblicato per Ancora tre edizioni di Dialoghi immaginari (2015, 2017, 2018) e una raccolta di trenta racconti dal titolo Guarda il cielo (2016). Per Treditre editori Interviste postume dall’inverno russo (2018), per Laurana editore Modello Milano (2018) e per edizioni La Mano Rott’amati (2019).

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