Nelle edizioni Interlinea è uscita una insolita e suggestiva raccolta di poesie scritte dalla poetessa francese Cécile Sauvage durante la gravidanza: un dialogo commovente della futura mamma con il suo bambino, Olivier, chediventerà un genio della musica noceventesca. La traduzione è di Maria Pia Sacchi, che non casualmente si è dedicata a questo lavoro durante la prima gravidanza della figlia, che ha dato poi alla luce una bellissima bambina.
Il saggio che pubblichiamo qui è la relazione che è stata fatta alla Biblioteca Sormani di Milano in occasione della presentazione del libro Via provinciale di Giampiero Neri avvenuta l’8 febbraio 2017. E’ stata pubblicata nell’ultimo numero della prestigiosa rivista Italian Poetry, diretta dal professor Paolo Valesio della Columbia University. Si tratta di una interpretazione inedita della poesia dell’Autore.
0. Si sciolgono. Stiamo perdendo ghiacciai alpini, banchise polari, scudi glaciali. Ma che cosa stiamo perdendo con il ghiaccio? Certamente paesaggi, ecosistemi, specie, ma anche un immaginario complesso, un’ecologia della mente in cui i ghiacci della terra hanno svolto per l’uomo, dal Paleolitico a oggi, una funzione cognitiva e poetica fondamentale. Fondamentale, ma non troppo evidente. Quando si parla, tra estetica e storia delle idee, di invenzione del Monte Bianco, dei Poli, del Nord, non si parla di declinazioni gelate di un qualche lontano ignoto, di un esotismo che ha sostituito a palme e cammelli i trichechi e gli iglù. È qualcosa di più profondo, qualcosa di primario, che ha a che fare con la possibilità stessa di pensare il mondo. Proverò a spiegarlo in poche note.
1. L’immaginario poetico legato al fuoco, alla fiamma, all’incendio è entrato stabilmente nel linguaggio comune: “infiammarsi”, “fiamma della passione”, “incendio dell’anima”, “fuoco interiore”, “fuoco sacro” sono solo alcune espressioni tra le innumerevoli che le nostre rêveries del fuoco hanno inventato per connotare emozioni, stati d’animo, condizioni mentali. Il fuoco ha accompagnato per decine di migliaia di anni le introspezioni umane, dal focolare paleolitico alla fiamma della candela sul tavolo dello scrittore. Non così il ghiaccio. C’è qualcosa nel ghiaccio che resiste all’immaginario, che frena la rêverie. Pensiamo alle parole più comuni: ghiaccio, ghiacciaio, glaciazione, glaciale, ghiacciato, agghiacciante; neve, nevoso, innevato; gelo, gelato, gelido; brina, brinato. Quante di queste parole vengono usate comunemente in un registro metaforico? Solitamente solo “ghiaccio” e i suoi derivati “glaciale” e “agghiacciante”, e ovviamente “gelido”. Quello che stupisce è che l’uso traslato di queste parole ha un’incredibile monotonia di significato: mentre il fuoco serve a indicare passioni diverse, talora opposte, dall’ira all’amore, il ghiaccio ha una connotazione quasi solo negativa, al limite neutra: il suo valore metaforico non si stacca dalla semantica dell’assenza di sentimenti e passioni, della freddezza interiore, del vuoto. Ma forse è proprio questa sua resistenza alla metaforizzazione, questa monotonia, che ci aiuta a caratterizzarlo meglio. Si tratta insomma di un terreno che resiste, che frena la metafora, che letteralmente raffredda la rêverie. Il ghiaccio, per così dire, fa una doccia fredda al fuoco dell’immaginario, e soffoca nella sua imperturbabilità l’incendio dell’eccesso immaginativo.