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Gabriela Fantato

La seconda voce

Della nostra mortalità

E se ci fosse un dio

nascosto tra le cose, dentro

lo spazio che unisce e separa,

dove si legge la fine che abbraccia

il bordo nuovo di una seconda vita di legno,

di sale e lacrime e chiodi mai conficcati,

solo puntati

per certezza al tavolo che balla

e dà forma ai giorni.

E se provassi a tendere la mano,

come un vecchio marinaio dentro

il suo vento di levante,

dentro la santa pelle del mare

e quella luminosa del giorno che nascevi

quando anche morirai,

e se avessi il moto e la certezza

che inventi, quella che sa dire

la tua storia, con gli stessi volti,

ma con le pieghe nuove

da scoprire.

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Mauro Ferrari

Vedere al buio

Ulisse tornato a casa

Adesso tengo in ordine il giardino.

Quanto è complessa la continua lotta

alla malerba, amando

pochi semi selezionati!

Ogni tanto un acquazzone

o la grandine arruffa e distrugge,

e allora è un rifare tutto correndo

avanti e indietro a ridisporre

le pietre dell’orto, colmare

le pozze e ricoprire i bulbi affiorati.

E le lunghe attese,

i parti odorosi dei fiori infiniti,

l’alchemica armonia dei colori:

adesso coltivo me stesso a percepire

la giusta luce, a prevedere il tempo

e annusare la grandine

temendo l’eccesso e la penuria,

coltivando una ricchezza triste.

Come permettermi di dire Io

con tanto da dire e fare?

(Perché tutto sarà più chiaro

senza immagini e parole,

netto sullo sfondo del buio –

come un tuono secco.)

*

(E penso che se tutti

e anche me stesso

col nostro carico di gioie e orrori

non fossimo

né fossimo mai stati, tutto sarebbe

nonostante tutto identico,

un vento che viene e spazza i rami

e poi si perde

chissà dove.)

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L’occhio

L’occhio  si apre e si chiude

e dentro di esso

il mondo si affaccia

in un vortice.

Il mondo è un occhio

che racchiude una pupilla di cristallo

sulla sua retina si imprime l’eterno

nelle mille forme dell’esistere.

Sul liquido abisso dell’occhio

si affaccia la nostra anima

in cerca di distrazione  o di salvezza

ma l’occhio ci rinvia

la nostra immagine

come una lente capovolta.

Sulla retina si stagliano angeli

che sono sogni e desideri di angeli.

Nell’occhio scopriamo il nostro sé

e ci ritraiamo per paura

di infrangere la sua fragilità.

Un Dio cosmico riflette

l’inafferrabilità della vita.

Il liquido chiaro intorno alla pupilla

è la chiarità dell’oceano all’alba

ai cui bordi nasce la luce

e solleva le sue colonne

fino alle sommità del cielo.

Nel cielo del nostro occhio

nuotiamo

verso le rive di Dio.

Una minuscola vela

lo attraversa

da cui scruta i venti Ulisse.

Donatella Bisutti

Inedito

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Cécile Sauvage, la poetessa della maternità

Traduzione di Maria Pia Sacchi

Nelle edizioni Interlinea è uscita una insolita e suggestiva raccolta di poesie scritte dalla poetessa francese Cécile Sauvage durante la gravidanza: un dialogo commovente della futura mamma con il suo bambino, Olivier, che diventerà  un genio della musica noceventesca. La traduzione è di Maria Pia Sacchi,  che non casualmente si è dedicata a questo lavoro durante  la prima gravidanza della figlia, che ha dato poi alla luce una bellissima bambina.

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Giampiero Neri, l’imperfetto assoluto e il bosone di Higgs

Il saggio che pubblichiamo qui è la relazione che è stata fatta alla Biblioteca Sormani di Milano in occasione della presentazione del libro Via provinciale di Giampiero Neri avvenuta l’8 febbraio 2017. E’ stata pubblicata nell’ultimo numero della prestigiosa rivista Italian Poetry, diretta dal professor Paolo Valesio della Columbia University. Si tratta di una interpretazione inedita della poesia dell’Autore.

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da Poesia e Conoscenza n° 3 – dal Dossier Lo scioglimento dei poli

disegno di Luciano Ragozzino

MATTEO MESCHIARI

GEOGRAFIE SENZA GHIACCI

L’immaginario del freddo è poverissimo

G. Bachelard

0. Si sciolgono. Stiamo perdendo ghiacciai alpini, banchise polari, scudi glaciali. Ma che cosa stiamo perdendo con il ghiaccio? Certamente paesaggi, ecosistemi, specie, ma anche un immaginario complesso, un’ecologia della mente in cui i ghiacci della terra hanno svolto per l’uomo, dal Paleolitico a oggi, una funzione cognitiva e poetica fondamentale. Fondamentale, ma non troppo evidente. Quando si parla, tra estetica e storia delle idee, di invenzione del Monte Bianco, dei Poli, del Nord, non si parla di declinazioni gelate di un qualche lontano ignoto, di un esotismo che ha sostituito a palme e cammelli i trichechi e gli iglù. È qualcosa di più profondo, qualcosa di primario, che ha a che fare con la possibilità stessa di pensare il mondo. Proverò a spiegarlo in poche note.

1. L’immaginario poetico legato al fuoco, alla fiamma, all’incendio è entrato stabilmente nel linguaggio comune: “infiammarsi”, “fiamma della passione”, “incendio dell’anima”, “fuoco interiore”, “fuoco sacro” sono solo alcune espressioni tra le innumerevoli che le nostre rêveries del fuoco hanno inventato per connotare emozioni, stati d’animo, condizioni mentali. Il fuoco ha accompagnato per decine di migliaia di anni le introspezioni umane, dal focolare paleolitico alla fiamma della candela sul tavolo dello scrittore. Non così il ghiaccio. C’è qualcosa nel ghiaccio che resiste all’immaginario, che frena la rêverie. Pensiamo alle parole più comuni: ghiaccioghiacciaioglaciazioneglacialeghiacciatoagghiacciantenevenevoso, innevatogelogelatogelidobrinabrinato. Quante di queste parole vengono usate comunemente in un registro metaforico? Solitamente solo “ghiaccio” e i suoi derivati “glaciale” e “agghiacciante”, e ovviamente “gelido”. Quello che stupisce è che l’uso traslato di queste parole ha un’incredibile monotonia di significato: mentre il fuoco serve a indicare passioni diverse, talora opposte, dall’ira all’amore, il ghiaccio ha una connotazione quasi solo negativa,  al limite neutra: il suo valore metaforico non si stacca dalla semantica dell’assenza di sentimenti e passioni, della freddezza interiore, del vuoto. Ma forse è proprio questa sua resistenza alla metaforizzazione, questa monotonia, che ci aiuta a caratterizzarlo meglio. Si tratta insomma di un terreno che resiste, che frena la metafora, che letteralmente raffredda la rêverie. Il ghiaccio, per così dire, fa una doccia fredda al fuoco dell’immaginario, e soffoca nella sua imperturbabilità l’incendio dell’eccesso immaginativo.

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