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Le emozioni della poesia

Ripubblico qui il mio saggio contenuto nel libro, relativo al rapporto fra le emozioni e la poesia:

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DONATELLA BISUTTI

LE EMOZIONI DELLA POESIA

  Che cosa sono le emozioni?  Possiamo dire che le emozioni sono il modo in cui interagiamo con  il mondo, cioè con tutto ciò che sta fuori di noi.  Un modo che non è gestito dalla parte razionale del nostro cervello, ma innanzitutto dal nostro corpo. Il rapporto fra corpo ed emozioni è strettissimo. Le sensazioni sono il modo in cui il nostro corpo comunica con la nostra mente. Se proviamo una sensazione piacevole, avremo un’emozione positiva, se invece è spiacevole, la nostra emozione sarà negativa.

  I nostri stati d’animo saranno la risposta a queste emozioni positive o negative: proveremo allora allegria o tristezza, malinconia o gioia, entusiasmo o dolore e così via. E quando gli stati d’animo durano più a lungo diventano sentimenti. Tutto questo viene elaborato dalla nostra mente soltanto in un secondo tempo. Il ripetersi di un’emozione gradevole farà nascere in noi attaccamento e amore  per quella cosa o persona che l’ha provocata; il ripetersi di un’emozione sgradevole farà nascere  al contrario un sentimento di antipatia, disgusto, rancore, odio.

   Si dice che  l’organo che gestisce e vive intensamente le nostre emozioni è il nostro cuore, ma prima di arrivare al cuore le emozioni devono passare per i nostri cinque sensi. Se non avessimo nessuno dei nostri sensi, non potremmo provare nessuna emozione, il mondo per noi non esisterebbe e la nostra mente potrebbe tutt’al più funzionare come un computer.

   I nostri sensi, soprattutto la vista e l’udito, ma anche  l’olfatto e il gusto e  tutta la superficie della nostra pelle, ricevono  degli stimoli dall’esterno e  le emozioni sono il loro modo di reagire a questi stimoli. Dobbiamo imparare a non considerare il nostro corpo solo come qualcosa che ci fa stare bene o ci fa stare male, qualcosa che  ci portiamo in giro e che ci serve come uno strumento con cui possiamo  mangiarci un panino o scalare una montagna, qualcosa che è come un oggetto che possiamo vestire, adornare, abbellire per mostrarlo agli altri e magari affascinarli. Non è così, o non è soltanto così. Il nostro corpo non è solo uno strumento e non è un oggetto: è  anche un soggetto che dice “io” alla stessa stregua della nostra mente. Per un bambino molto piccolo il corpo è il solo modo di conoscere il mondo. Lo conosce toccando e mettendosi gli oggetti in bocca, facendoli cadere per terra, rompendoli. Il nostro corpo è dunque qualcuno che impara a conoscere il mondo a modo suo, e questo  modo lo dobbiamo considerare anche più importante di quello che consiste nel tradurlo in concetti con gli strumenti logici del nostro cervello. La felicità infatti ci può venire solo da questa conoscenza attraverso il corpo, cioè da un’interazione emozionale  con gli altri e con l’ambiente che ci circonda, non dall’uso di un computer. Se noi restringiamo la nostra conoscenza del mondo a un computer  è difficile che possiamo essere felici. Vedere per esempio un bosco in un’immagine, anche se perfetta, non sarà mai come attraversarlo a piedi sentendo intorno a noi  il frusciare dei rami, la carezza dell’aria, l’odore del muschio e dei funghi nascosti, il mistero delle ombre profonde, il vibrare dell’erba al passaggio furtivo di uno scoiattolo, il mormorio di un ruscello che lo percorre. E insieme  la sensazione di  fatica mentre camminiamo, l’attenzione che dobbiamo avere nel muovere i passi  fra le pietre e il terriccio del sentiero e magari l’indolenzimento dei nostri piedi. Senza  questa serie di sensazioni e di emozioni che da queste sensazioni derivano non avremo mai conosciuto il bosco. E invece in questo modo il bosco si imprimerà così profondamente prima di tutto nella memoria del nostro corpo che diventerà in qualche modo parte di noi  e di questa conoscenza che ne abbiamo avuto ci potremo ricordare anche a distanza di anni e riprovare quel senso di felicità, di stupore, di meraviglia e magari anche un po’ di paura  che abbiamo provato allora.  Questo arricchisce la nostra vita.

   Certo possiamo provare delle emozioni anche vedendo  delle immagini, un film, un video, però sono emozioni incomplete, alle quali il nostro corpo partecipa poco e per questo si tratta di emozioni che in genere  svaniscono rapidamente perché non ci appartengono davvero, non sono davvero “nostre”, bensì sono emozioni create da altri, che noi per qualche attimo prendiamo a prestito. Dobbiamo stare attenti a non lasciare troppo spazio a questo tipo di emozioni perché sono corpi estranei che si  installano, invadono la nostra mente senza passare per i nostri sensi e la abituano a vivere di surrogati di emozioni reali che sono come un cattivo cibo, a vivere una vita che non è la nostra. Queste emozioni artificiali non ci danno dei ricordi veramente nostri ma ci manipolano, ci condizionano, mentre il nostro corpo rimane inattivo , quasi immobile, quasi inutile e, lì seduto, per compensare la sua frustrazione spesso  si nutre in maniera compulsiva di altro cattivo cibo, finché diventa obeso e si ammala.  Più ci allontaniamo da emozioni vere,  più la nostra vita diventa simile a quella di un robot che sa tutto, prevede tutto, organizza tutto, ma non sente niente. 

   Quanto le emozioni abbiano a che fare con il nostro corpo lo si può vedere facilmente. Infatti ci sono emozioni che ci fanno diventare le guance rosse come pomodori, oppure altre che ci fanno diventare bianchi come stracci. Emozioni che ci fanno tremare le mani, oppure drizzare i capelli in testa. Altre che ci fanno balbettare, altre ancora che ci prosciugano la saliva, o addirittura ci impediscono di parlare. Emozioni che ci fanno ridere irrefrenabilmente, oppure piangere a dirotto. E ancora: ci fanno battere i denti, ci fanno sudare, ci fanno venire la pelle d’oca, oppure il singhiozzo. Quanti strani effetti ci può fare un’emozione! Può farci ballare, saltare, ci può far emettere una quantità di suoni diversi: oooh se vediamo qualcosa di strano e di meraviglioso, ahi se ci fa male da qualche parte, aah se qualcosa ci fa paura.   

    Le emozioni per definizione ci coinvolgono, le proviamo quando non possiamo restare indifferenti. Qualcosa di noioso non ci dà invece nessuna emozione, a meno di non voler considerare un’emozione anche uno sbadiglio. Senza emozioni la nostra vita sarebbe un seguito di sbadigli.

    E’ vero però che non tutti sentono le emozioni  con la stessa intensità, anzi ci sono alcune persone che non le sentono affatto. Il modo in cui una persona sente le emozioni  lo chiamiamo “carattere”. E’ come se ciascuno di noi avesse dentro  uno speciale termometro che misura le emozioni come si misura la febbre. Ci sono persone in cui la febbre non sale mai, questo termometro ce l’hanno sempre basso, segna magari 8 o 9 gradi: si dirà allora che hanno un “carattere freddo”. Sono simili a dei frigoriferi: qualsiasi cosa gli metti dentro si raffredda o, se viene inserita nel reparto freezer, addirittura si  gela. Qualsiasi cosa gli succeda, queste persone non danno mai segni di emozione: rimangono impassibili.  Questa è da alcuni considerata una grande qualità. In effetti va molto bene se uno vuol diventare uno 007 che affronta senza batter ciglio qualsiasi pericolo. Però queste persone hanno dei rapporti difficili con gli altri: gli altri sentono questo freddo che loro hanno addosso e subito hanno voglia di infilarsi un golfino e siccome devono andare a prenderlo, si allontanano con una scusa e poi incontrano qualche amico per strada e non tornano più. D’altra parte  ci sono anche persone il cui termometro sale velocissimo e diventa subito bollente: queste persone hanno sempre emozioni esagerate, per esempio gli basta pochissimo per arrabbiarsi, si arrabbiano per delle stupidaggini, magari perché un’altra macchina va più veloce di loro e li sorpassa o perché qualcuno occupa prima di loro un parcheggio, oppure si mettono subito a piangere se perdono una partita a calcetto.

    Sono persone che si fanno travolgere dalle loro emozioni: è come se andassero a cavallo e quando il cavallo si mette a un galoppo sfrenato non riescono a trattenerlo, cadono dalla sella e qualche volta possono anche rompersi la testa. Anche queste persone hanno pochi amici perché fanno paura o sono fastidiose per gli altri. Però ci sono anche quelli che hanno cosi paura che la temperatura del loro termometro si alzi troppo e gli faccia venire la febbre che appena la sentono salire subito vanno a farsi una doccia e così si raffreddano e il termometro scende. Magari sono proprio le stesse persone che ci sembrano impassibili. Ma a forza di passare dal caldo al freddo alla fine si sentono male e devono andare dal dottore  Esistono infatti dei dottori delle emozioni che si chiamano psicoanalisti o psicoterapeuti , i quali aiutano queste persone a regolare i loro termometri. Un’operazione tuttavia lunga e faticosa.

   Ma il punto è proprio questo: che cosa dobbiamo fare con le nostre emozioni se sono troppo forti? Dobbiamo lasciarci trascinare oppure puntare i piedi per non essere trascinati?

   Abbiamo bisogno di qualcuno che ci insegni come vivere al meglio le nostre emozioni. Un assessore alla cultura  nel corso di un recente convegno cui ho partecipato si chiedeva: “Un’educazione all’emozione è possibile?” Io credo di sì: non solo  è possibile,  ma è necessaria.

   Finora ciascuno era lasciato ad arrangiarsi da solo. Questo può creare  come abbiamo visto molti problemi, molte difficoltà. C’è chi ha la vita rovinata  per via di una cattiva gestione delle emozioni, soprattutto nei rapporti con gli altri, specialmente nei rapporti d’amore, che di emozioni ce ne danno tantissime. La gelosia, la rabbia e l’odio sono emozioni che possiamo provare facilmente e da cui spesso non sappiamo difenderci. 

    L’emozione è una forma di energia, un aumento di energia dentro di noi. Ma questa energia abbiamo visto che non ha sempre un segno positivo: dipende da quello che ci succede. Ci sono energie con il segno meno, energie negative. Sono queste soprattutto che ci mettono a rischio, benché a volte anche un eccesso di entusiasmo possa diminuire la nostra attenzione e farci andare a sbattere contro un muro. Ma certamente sono le energie negative a metterci più in difficoltà:  quelle che  si sprigionano da una paura, un dolore, una perdita, un pericolo.  

     Tuttavia noi non dobbiamo cercare di cancellare le nostre emozioni per far scendere il termometro. Non dobbiamo bloccare la nostra capacità di emozionarci. Le emozioni sono molto importanti. Sono loro a farci sentire vivi. Le emozioni sono i movimenti del nostro cuore. Ed è il cuore che ci fa vivere. Non siamo solo cervello.“Cuore” significa la nostra immaginazione, la nostra fantasia, i nostri sentimenti, sogni, desideri: non possiamo rinunciare a tutto questo senza perdere la ricchezza della nostra vita.

  Che cosa  fare allora con le nostre emozioni? Educazione all’emozione vuol dire non lasciarsi andare in balia delle emozioni perché un’emozione che sia fuori controllo può distruggerci. Vuol dire accettare di viverle, ma anche capire che questa energia possiamo trasformarla :in qualcosa che ci aiuti a vivere meglio.

  Abbiamo visto che l’emozione è un movimento che va dall’esterno, da ciò che accade al di fuori  di noi, verso il nostro interno: in questo movimento noi siamo in un primo momento passivi, lo subiamo come un’energia che non ha avuto origine in noi. Ma se  decidiamo di portare consapevolmente questa energia verso l’esterno volgendola dal negativo al positivo, dal segno meno al segno più, ecco che avremo ripreso il controllo e saremo diventati dei soggetti attivi in grado di utilizzare al meglio il suo potenziale. L’energia infatti di per sé non ha alcun segno: siamo noi  che possiamo renderla positiva o negativa . E in questo consiste la nostra libertà e la capacità di guidare verso il successo la nostra vita. Non butteremo via tutto quel potenziale, vi pare?

   E’ a questo punto che la poesia può indicarci la giusta direzione. A questo rapporto fra poesia ed emozione ho dedicato anni di studi e di riflessioni e diversi libri, aprendo la strada, credo, a un nuovo approccio con la poesia.

  La poesia può essere la chiave più preziosa per un’educazione all’emozione. Perché? Perché anche la poesia ha a che fare con le emozioni. Una poesia che ci  trasmetta solo concetti non è una poesia degna di questo nome. La poesia non è un saggio, una narrazione, un trattato di filosofia o di scienza: attraverso le parole essa ci vuole trasmettere un’emozione. Il significato della poesia non può essere compreso attraverso la pura e semplice spiegazione di quello che le sue parole “vogliono dire” – allora perché si dovrebbe scrivere una poesia? Basterebbe scrivere in prosa! E come ce la trasmette l’emozione? attraverso delle sensazioni, proprio come accade nella nostra esperienza. Anche la poesia è in questo senso una forma di esperienza: ci trasmette infatti anch’essa delle sensazioni. Ci trasmette l’emozione del poeta non raccontandola, ma creando le condizioni per cui la possiamo provare direttamente anche noi insieme a lui.  Il suo è l’unico linguaggio verbale capace di trasmettere un’esperienza, proprio perché si serve delle sensazioni.  Perciò ci permette di esprimere le nostre emozioni  partendo da ciò che le ha originate, sia che leggiamo sia che scriviamo. Solo così esse diventano trasmissibili, e il fatto di poterle trasmettere è qualcosa di essenziale. Anche la poesia infatti trasforma le sensazioni in stati d’animo, perché anche la poesia, prima che per la mente e per il cuore, passa per il corpo. Questo potrà sembrare strano a chi ha sempre pensato alla poesia come a qualcosa di etereo, spirituale e smaterializzato: una concezione che affonda le sue radici in una lunga tradizione retorica che ne ha completamente travisato  la natura. Infatti la poesia è linguaggio e il linguaggio dove nasce? Nel corpo e dal corpo. Il linguaggio del corpo, fatto di semplici suoni, è il linguaggio originario, quello che ogni bambino piccolo riscopre. Le più antiche parole della lingua ne mantengono  le tracce  perché spesso la loro etimologia ormai dimenticata è onomatopeica cioè riproduce dei suoni della  natura, degli animali, degli oggetti.  O anche dei ritmi, dei movimenti. Abbiamo ragione di pensare che il linguaggio abbia avuto origine dalle emozioni e sia nato per esprimere emozioni. Ne rimangono tracce nelle esclamazioni che riempiono ancora anche le pagine attualissime dei fumetti.

   La poesia è ancora oggi un “linguaggio del corpo”. E’ l’unica forma di scrittura che abbia conservato questo rapporto preciso ed essenziale con il corpo, un linguaggio fatto di suoni, di onomatopee, di ritmi e soprattutto di sinestesia:  La poesia è un orecchio , come dice il titolo del mio libro uscito da Feltrinelli nel 2012 , che recupera attraverso un ascolto dei suoni e una “lettura emozionale” i grandi classici della nostra poesia, da Leopardi a Luzi. Questo libro contiene una analisi accurata, nei singoli testi, dei modi e delle caratteristiche di questo linguaggio sensoriale/emozionale e ad esso rinvio per entrare in modo più approfondito nella specificità del “linguaggio del corpo” che contraddistingue la poesia. Farò solo un esempio prendendo spunto da una poesia che avevo scelto nel libro, di Corrado Pavolini, intitolata Ragazzo negro, e che riporto qui:

Qua la mano, fratello.

Come amo il tuo spaurito cuore,

la forma del tuo cranio,

il tuo paradiso perduto.

Con le tue stesse spazzole

curvo su eguali scarpe

lucido insieme a te

con servil cura, sudando,

il mio terrore dei bianchi,

guardo riflesso nel cuoio

questo me maledetto.

Allegro è il sole, cantano

uccelli e clakson e noi

siamo neri, fratello.

     Vorrei soffermarmi sul finale, sugli ultimi tre versi. Sulla singolare musica che risulta dal mescolarsi delle note indisponenti e “innaturali” dei clacson alle note allegre  del cinguettio degli uccelli, che invece ci parlano  di sole e di vita: da questo mescolarsi ma anche contrapporsi risulta un canto allegro ma al tempo stesso un po’ stridente,  ed è proprio questo suono discorde a “dirci” lo “stridente”contrasto fra un ideale di fratellanza e una realtà di discriminazione. Tutto questo non è dichiarato, ci arriva solo attraverso la “sensazione” di un particolare tipo di suono, una sensazione di stridore, che si trasforma subito in emozione, trasmettendoci  l’esperienza di quell’assurdo malessere, quel senso di esclusione che prova il poeta: siamo lì con lui, e la proviamo anche noi, essa entra nel nostro cuore ben più profondamente che  se  ci fosse stata “spiegata”con tante parole. E’ così che funziona il linguaggio della poesia.

   Ma che cos’è la sinestesia?   Secondo l’etimologia, la sinestesia , che unisce  in una stessa immagine sensazioni diverse,  significa  “percepire insieme”  e quindi anche, per estensione, “mettere insieme”.  Sinestesia è dire per esempio “un suono freddo” (udito + tatto) o “ un rosso piccante” (vista + gusto). Sinestesia è, in senso lato, il linguaggio stesso della poesia, che non solo connette sensazioni di diversa provenienza, soprattutto colore e suono (diceva il grande poeta portoghese Texeira de Pascoaes:  “Il  suono è lo spirito del colore” ) , ma nelle metafore “mette insieme” le cose apparentemente più lontane. La scintilla che provoca questi cortocircuiti è però sempre l’intensità dell’emozione che il poeta ci vuole trasmettere.

  La poesia è quindi un Linguaggio delle Emozioni. che usa le parole in modo diverso da tutti gli altri linguaggi fatti di parole: le usacome se esse fossero soltanto sensazioni, suoni, colori, ritmi, forme. Le usa come un musicista usa le note e un pittore usa le matite e i pennelli. Le parole usate in questo modo sono quelle capaci di farci vivere un’emozione. Così una poesia ci fa vivere l’emozione del poeta che l’ha scritta. Essa diventerà anche la nostra emozione. E questa emozione sarà il suo vero e completo significato. Per questo la poesia è importante e necessaria alla

nostra vita: essa ci ricorda di continuo che non dobbiamo solo “ragionare” ma anche “sentire” . Naturalmente le “sensazioni” che la poesia ci trasmette sono immaginarie, cioè sollecitano i nostri sensi  attraverso l’immaginazione: le immagini che “vediamo” si formano nella nostra mente, così come i suoni  che essa evoca – suoni del traffico di una città, suono delle onde del mare, suoni dei canti degli uccelli – così come sono immaginari gli odori e i profumi e le sensazioni tattili che percepiamo, ma che non sono per questo meno “reali” in quanto esse agiscono “realmente” sulla nostra sfera psichica. In questo modo la lettura di una poesia diventa una “esperienza” e attraverso questa “esperienza” l’emozione che le ha dato origine rinasce e si trasmette, non raccontata, ma vissuta, condivisa tra il poeta e il lettore. La poesia ci insegna così anche a giocare con la nostra immaginazione, ad attivarla, a mettere nel testo del poeta qualcosa di nostro.

     La cosa più importante, riguardo a una “educazione all’emozione”, è questa possibilità che ha la poesia di trasmettere un’emozione in quanto tale, di condividerla.

La poesia ci insegna quindi prima di tutto che un’emozione si può esprimere,  e questo è il primo modo per diventare, da individui che subiscono passivamente,  soggetti attivi. Tutta l’energia che una emozione ci suscita non possiamo infatti tenercela dentro: come un pallone troppo gonfiato, essa rischia di farci “scoppiare”, crea un ingorgo che ci fa male. Dobbiamo esprimerla , riportandola fuori di noi, e non bastano per questo poche esclamazioni, ci vuole qualcosa di più articolato del limitarsi semplicemente a ridere e a piangere. Esprimerla vuole dire comunicarla agli altri, condividerla. Condividerla non è  la stessa cosa che raccontarla. La fisicità infatti non si  può raccontare, bisogna sperimentarla. Perciò la poesia con il suo linguaggio fatto di sensazioni corporali è l’unica che ci permette  di trasmettere agli altri le nostre sensazioni ed emozioni più profonde aprendo un varco in quel muro che separa noi umani uno dall’altro, quel muro di solitudine e di incomunicabilità che fece scrivere a Salvatore Quasimodo il famoso verso: “ Ognuno sta solo sul cuor della terra / trafitto da un raggio di sole.”  Questo muro di separatezza non si può totalmente abbattere  ma  attraverso quel varco si  può magari infilare un braccio e stringere la mano di un altro che ci è vicino.

  Per lo stesso motivo scrivere noi stessi una poesia ci può aiutare, esprimendole e condividendole con gli altri,  a superare emozioni dolorose e in questo senso ci può “salvare la vita” come dice  il titolo di un altro mio libro, titolo ispirato alla vicenda reale dell’architetto Belgioioso che  riteneva di essere riuscito così a sopravvivere agli orrori del campo di concentramento nazista in cui era stato per anni rinchiuso.

   Ma c’è  un altro motivo per cui la poesia ci  può fare da maestra per un’educazione all’emozione. Infatti essa non si limita solo a farci esprimere e  condividere l’esperienza di un’emozione, ma la trasforma. La trasforma in un oggetto di bellezza,  cioè la singola poesia stessa : una poesia si propone infatti di realizzare, a partire da un’esperienza e da un’emozione, attraverso i suoni e le immagini, una perfezione di bellezza. Un “oggetto”  compiuto in sé secondo regole di composizione e di metrica, rime o assonanze,  ritmi  e sospensioni, simili a quelle di una partitura musicale. Una bella poesia può essere paragonata a una sonata, un poema a una sinfonia. La poesia per sua vocazione tende alla bellezza e quando la raggiunge è questo quel segno meno che si trasforma in più: un grumo di dolore che si trasforma in armonia, attraverso un atto di creatività. Chi scrive una poesia dà una forma alla sua emozione come un vasaio dà forma a un vaso.  

   Così facendo la poesia ci indica anche una strada  più ampia, come la stella polare ci indica la rotta verso nord: appunto la strada della creatività, anche al di fuori della poesia stessa: è questa anche più in generale la strada per  vivere bene le nostre emozioni  trasformandole in qualcosa di più grande, in un’armonia che non rimanga confinata nel nostro io ma si apra verso gli altri e doni loro qualcosa con cui possono a loro volta arricchire la loro vita. 

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